Recensione | L’HO FATTO PER IL MIO PAESE:  Antonio Cornacchione  ed  Ippolita Baldini al Teatro Nino Manfredi

L’ho fatto per il mio paese in scena dal 5 al 17 novembre al teatro Nino Manfredi di Ostia.
Sembra una storia del tutto surreale ambientata in una cantina, tra panni stesi, un lettino da ospedale e un disordine che serpeggia in ogni lato. Nel vedere la scena ci sarebbe da trattenere il  respiro, ma è invece un insieme di comicità.  Questa commedia è nata dalla creatività delirante di più autori,  Francesco Freyrie, Andrea Zalone e dello stesso Antonio Cornacchione, poi portata in scena secondo la regia di Daniele Sala  e da due modelli di bravura e di umorismo come Ippolita Baldini e lo stesso Antonio Cornacchione. Per entrare nel  cuore della drammaturgia bisogna immaginare di  essere Benedetto (Benny),  un uomo con un matrimonio fallito alle spalle che per sopravvivere ha fatto mille attività, delle quali nessuna portata a buon fine. Benny(Cornacchione) era  infermiere, subito sollevato dall’incarico, poi ha provato con la fotografia, niente da fare, e in seguito con mille altre precarietà: ora si ritrova prima licenziato e, con l’entrata in vigore della legge Fornero, esodato perché nel frattempo hanno aumentato gli anni per poter accedere alla pensione. Ma che cosa manca a questo spiantato collezionista di lettere di licenziamento sempre in lotta con il mondo per completarne l’opera distruttiva? Solo l’immancabile lettera del non rinnovo del contratto di affitto che ha puntualmente in tasca. Tutti noi vedendo questa situazione siamo obbligati a trarne la ovvia conclusione: Benny è ormai alla “canna del gas”. Invece no! Perché in questa cantina, prigioniera di questo sventurato, c’è addirittura la ministra, ovvero la responsabile di quella legge che ha leso gli interessi di tutti i lavoratori tra i quali anche quelli di questo povero sciagurato.  La ministra (Ippolita Baldini) che poco tempo prima,  senza scorta e in bicicletta mentre portava a spasso il cane, cade davanti al nostro Benny,  rimanendo in uno stato di confusione mentale: e allora perché non approfittarne ed inscenare così un rapimento per salvare se stessi e il  paese.  In questa forzata convivenza si assiste al classico scontro tra gli opposti: lei ricchissima donna dell’alta società mentre lui sempre senza un soldo in tasca. I due, dopo aver superato lo sgomento iniziale, entrano subito in conflitto.  Benny disperato ha deciso di  fare questo gesto  per rendersi utile alla comunità: ma anche la ministra facendo la legge è convinta di  agire  nel bene dello stato. La Ministra si lamenta di avere le ossa rotte ma non capisce di essere stata rapita in nome della legge sulla equità come ripeteva lei in parlamento. Da questo momento un susseguirsi di battute prende il sopravvento e il ritmo  si  fa incredibilmente comico.   Cornacchione  rientra nel personaggio a noi noto: da sempre  maestro nel ruolo di piangersi addosso ma nel contempo conscio di sentirsi un novello Robin Hood . Ippolita  Baldini  mette a fuoco il suo brillante repertorio cabarettistico. La scena più significativa è quella dove  Benny vuole filmare la sua illustre prigionera per divulgare il video nel quale la ministra  implora pietà. Ma la pregiata prigioniera  non  è d’accordo e  continua ossessivamente ad interrompere l’interlocutore rimproverando di lui ogni atto, tanto  che perfino la cinepresa va fuori uso. Lei è una piaga di donna, bisbetica ed assillante e lui un fallito seriale, ma finalmente quando si arriva ad un fragile compromesso: ecco che il vizio italico  prende il sopravvento, “cade il governo” e la ministra non è più ministra, quindi il rapimento non ha più valore. E allora ci aspetta un finale incandescente, che solo due valenti cabarettisti come Antonio Cornacchione e Ippolita Baldini possono dare ad uno  spettacolo di assoluto divertimento.

 

 

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