Recensione | RAGAZZI DI VITA: Popolizio porta in scena Pasolini

Ragazzi di vita di Pasolini in scena al Teatro Argentina dal 15 al 27 ottobre.
Emanuele Trevi con la sua drammaturgia scava dentro l’anima pasoliniana entrando dentro le pagine di  Ragazzi di vita, riprendendo i brani più salienti e portandone l’essenza sul palco grazie alla regia di Massimo Popolizio, che ha la geniale capacità di trasportare la letteratura in palcoscenico e rendere vive e fantasiose le opere narrative. La visione di Pasolini, sia la registica che la attoriale, era fine ed evolutiva, ma terribilmente reale: la concezione di Massimo Popolizio si allontana da quel modello.  Il regista si affida al suo estro e pur seguendo la scia narrativa, preferisce navigare nel  mare aperto della creatività e non ossessivamente frangersi  sugli scogli della società diseredata, come avrebbe voluto PPP. La trama: nel secondo dopoguerra tutte le periferie si assomigliavano ma quelle della capitale erano un piccolo mondo di indigenza che raggruppava ogni tipo di essere umano. Un microcosmo di gente costretta a vivere di espedienti e di miseria collettiva. Nella pièce che spazia entro questo  infelice universo ha un posto di rilievo  un narratore  interno che racconta se stesso e la vita della borgata. Quest’uomo è Pier Paolo Pasolini: Lino Guanciale ne mima perfettamente le movenze. L’attore con il suo  sguardo sempre nascosto dagli occhiali scuri, misteriosamente  accompagna  il passaggio dal libro alla scena. La recitazione è vivificata da un cast attoriale di giovani interpreti che animano il locos in modo volutamente confuso simulando il caos del periodo.

I ragazzi di Pasolini in scena indossano la propria povertà e la propria emarginazione  cantando a squarciagola in assoli parti di canzoni di Claudio Villa e Wanda Osiris. I giovani saltando e gridando esaltano la propria  spensieratezza ma ci fanno capire che il mondo delle borgate nel tempo non è cambiato: in quel periodo, a differenza di adesso, vivere in periferia  era una esclusione sociale felice, senza rabbia.  I ragazzi seminudi portati in scena da Polipizio, di cui ricordiamo Riccetto, Spudorato , Genesio, Agnolo, Begalone, Amerigo, Caciotta,  Alvaro, vestiti solo con mutande  bianche in stile anni cinquanta ne sono la fanciullesca deposizione.

Ragazzi di vita Lino Guanciale

Il regista Massimo Popolizio nelle sue note di regia rammenta:

 “ Uno spazio immenso e vuoto –  Lo spettacolo è diviso in capitoli e il narratore ha il compito di portare la materia poetica dell’opera. Abbiamo usato del libro tutta la “ciccia teatrale” e abbiamo svolto un lavoro in progress. Abbiamo anche tagliato tanto, è stata una spremitura per arrivare a un nocciolo dove c’è humour. Non è infatti un Pasolini torbido, non c’è rappresentazione della sofferenza. L’unica scena violenta che abbiamo mantenuto è quella che lo scrittore demanda a dei cani, delle bestie: è l’unico momento penoso, per il resto c’è ingenuità, stupore verso quello che succede e che assomiglia più a un varietà” .

 “ I “ragazzi” di Pasolini sono personaggi emarginati dalla città normale. Agguantano la vita a piene mani e a pieni polmoni vivendo un universo di fibrillazioni e vitalità anarchiche che è totalmente altro rispetto ai contesti borghesi, ai micro-cosmi protetti e istituzionali di lavoro o scuola”

“Pasolini pubblicò nel 1955 questo romanzo, che quindi rappresenta un primo Pasolini – osserva Popolizio – e cioè un friulano che arriva a Roma dove ha un impatto incredibile con una grande città, dove impara a vedere il mondo in una maniera diversa”.

Tutti i giovani della borgata sono la testimonianza di una genesi condannata da una benpensante collettività che li rifiuta: ma sono estranei al male a cui sono indiziati perché il vero reo è  la società stessa che allora come ora  non si prende cura dei sobborghi. Questa drammaturgia è un necessario atto di riverenza ad un grande artista ed al suo primo libro Ragazzi di vita.  PPP amava Roma tanto da dedicare la sua arte e la sua vita alla città eterna. Uno spettacolo sicuramente da non mancare.

 

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