Un Giulio Cesare che prende vita in uno scorcio di Roma antica creata ad arte nel palcoscenico del Silvano Toti Globe Theatre e portato in scena da Daniele Salvo dal 20 settembre al 6 ottobre. La visione teatrale di Daniele Salvo plasma un insieme di luci ed ombre che con il loro velo di angoscia e morte avvolgono un mondo fatto di misteri e congiure.
Le fiaccole e i bracieri accesi accentuano le semioscurità: con le loro fiamme instabili sembra che concorrano partecipando attivamente a lutti incombenti. Il regista vede una città oppressa dal buio, avvolta dalle nere ombre di un futuro senza futuro. La sua rappresentazione utilizza un gruppo di 14 attori e 12 figuranti tutti in costume classico che rivestono con maestria i 45 ruoli diversi di questo evento drammatico evolutivo e convincente.
I congiurati sono un insieme di personaggi che vagano per la scena: nelle loro menti vivono sinistre ossessioni. Loro sono uomini ormai senza più parvenze: i loro volti inespressivi, nascosti dietro maschere in lattice ormai non sono più capaci di provare o trasmettere emozioni. La bramosia di giustizia o di potere ha ormai offuscato i loro pensieri e i loro volti ormai senza più lineamenti umani. La cospirazione maschera le emozioni: le rifiuta, le soffoca ed allontana l’umanità come i lampi che traccianti rompono il silenzio della notte. Le saette divine spaccano simbolicamente le parvenze omicide ed entrano dentro il loro buio interiore. Nel creativo spettacolo di Daniele Salvo allievo di Luca Ronconi, Giulio Cesare è rappresentato nel duplice ruolo di vittima e di carnefice. Un tiranno che viene assassinato dal figlio garante della repubblica che uccide il suo padre maestro, per rinnegarlo e forse anche per sostituirlo.
La morte del condottiero è seguita da effetti speciali e suoni che sembra feriscano come i pugnali che entrano dentro il corpo della vittima ed accompagnano il pubblico verso il rito del parricidio. Il tiranno secondo la visione di Salvo è rappresentato come un essere onnipotente: una specie di dio con atteggiamenti da super uomo. Nella seconda parte del dramma Cesare muterà il suo ruolo e si trasformerà nel sempre sfarzoso Ottaviano: a raffigurali è lo stesso attore (esemplare Massimo Nicolini). La differenza tra i due personaggi è minima perché simili sono i loro modi di rapportarsi al popolo: perché entrambi sono sicuri di sé e vogliono il mondo ai loro piedi. I congiurati invece sono uomini fragilissimi, tutti in preda a paure e sgomenti: perché sanno di essere condannati della storia e sono consapevoli dell’infausto destino che li attende. Il testo, privo di superflua retorica, ha un linguaggio immediato, un nuovo e moderno percorso recitativo che scava dentro l’attimo allontanandosi dalle parole forbite.
Il Giulio Cesare ci fa prendere coscienza, scavare dentro noi stessi e di nuovo insegnarci che la storia si ripete se noi tutti continuiamo a dimenticare il passato. Ed in quanto al presente, viviamo inconsapevoli che il nostro quotidiano è pilotato da forze occulte che a poco a poco ci plagiano e ci costringono a seguirle: anche la libertà è qualcosa di fugace ed effimero. Il potere incanta: e le masse lo seguono come fossero attratte da un pifferaio magico che dosa il suo suono con sapienza. Un dosaggio di note velenose che vengono iniettate nel nostro pensiero e piano piano uccidono il nostro intelletto ritrovandoci inerti.
Daniele Salvo ci fa capire che il politico vincente è l’ultimo a parlare perché la gente si ricorda solo delle ultime parole. Il discorso di Bruto attrae ma non convince, perché è il primo a mettersi in gioco pur avendo lo svantaggio di non possedere l’arte di giocare con le parole. Marcantonio invece, avendo avuto la concessione dell’ultima parola, sarà seguito da tutto il popolo romano. Il propellente del potere è la forza della retorica che guarda dentro il volere della gente che ascolta e si identifica in alcuni concetti minimali, che corrono senza tregua sovrapponendosi ad altri concetti.
Il popolo seleziona solo una piccola parte del linguaggio, dosa le parole accantonando quelle ritenute superflue. Bruto non è un diplomatico, quindi non possiede l’arte oratoria, il suo rapporto con i romani è freddo, a tratti distaccato, e questo il popolo lo recepisce e non lo segue. Il parricida rimane un uomo fedele ai suoi valori: votato ad amare la repubblica prima di ogni altra cosa, più della sua famiglia e più dell’amore verso la propria donna. Il rapporto affettivo con la moglie Porzia (una encomiabile Melania Giglio) è leale, ma Bruto (ottimo Gianluigi Fogacci) non recepisce il messaggio della consorte tanto è preso nel seguire la sua strada.
Le scene creano ad arte un buio interiore, un balenare di luci ed ombre che trasmettono una appropriata infelicità. Gli attori con le loro sinergie sono in perfetto accordo con lo schema creato: un cast artistico eccellente e diretto in maniera esemplare. Le maschere usate da alcuni interpreti si rivelano essere ottimali nella mimica della macchinazione. Il Giulio Cesare di Shakespeare al Globe Theatre è uno spettacolo evolutivo e magistrale che merita attenzione e ricalca l’impronta di un maestro di chiara fama come Daniele Salvo.