Recensione | CONDANNATO A MORTE – L’inchiesta all’OFF/OFF Theatre

Davide Sacco rielabora il romanzo di Victor HugoL’ultimo giorno di un condannato a morte, scrivendo e dirigendo un monologo finemente cucito sul bravissimo Gianmarco Saurino, che, oltre alle numerose esperienze televisive, dimostra delle ottime doti interpretative anche sul palcoscenico.
Condannato a Morte – L’inchiesta, in scena all’OFF/OFF Theatre di Roma fino al 3 febbraio, è la storia di uomo come tanti, condannato per un crimine di cui non si parla mai, di cui non sappiamo neanche se sia effettivamente colpevole.
E non lo sappiamo semplicemente perché non è rilevante.
Il focus della pièce, patrocinata da Amnesty International Italia, si concentra sull’idea stessa della pena di morte, sulla sua insensatezza, sulla straziante esperienza di un uomo, innocente o colpevole che sia, mentre conta le ore che lo separano dal patibolo.

Condannato a morte_Gianmarco Saurino_rid.jpgSono pochissimi gli elementi che ci portano alla Francia del 1829, anno della pubblicazione del romanzo, per il resto il dramma dimostra un’attualità impressionante, arricchito dalla scrittura di Sacco: il monologo è intervallato da frammenti che si discostano dalla vicenda del protagonista, che presentano analiticamente la pena di morte in cifre, dai paesi in cui è ancora attuata, fino al numero dei condannati che risultano, in seguito, innocenti.

Gianmarco Saurino è solo in scena, solo con il tormento del protagonista, ma anche insieme a chi lo accompagna negli ultimi giorni di vita, personaggi più o meno caratterizzati, cui dà voce e corpo, misurandosi con versatilità in repentini cambi di registro.
La scenografia essenziale e le luci giocano un ruolo fondamentale nell’impianto registico dell’opera: un grande tavolo con le ruote riempie la scena, asseconda il movimento dell’attore, disegna ambientazioni e stati d’animo, così come le risme interminabili di fogli impilati, poi accartocciati, lanciati in alto e in platea, lasciati liberi di cadere – liberi, loro.
Le luci soffuse, confortanti, poi violente e accecanti scandiscono i momenti del racconto, dal ricordo all’introspezione, dalla rabbia alla frustrazione.
I fari, di varie dimensioni e colori, sono disposti simmetricamente sulla scena spoglia, visibili al pubblico e quasi coprotagonisti dell’attore, ad accerchiarlo, come dei riflettori sul patibolo, pronti a illuminare ogni dettaglio, ma nell’ultimo momento, quello fatale, lasciano spazio al dolore sommesso, alla perdita della speranza, sfumando dolcemente fino al buio, mentre una giacca, corpo svuotato della sua anima, cade a terra silenziosa.

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