Durante la seconda edizione del Progetto Lunga Vita Festival, all’Accademia Nazionale di Danza di Roma, è andato in scena La morte della bellezza: quattro attrici e quattro musicisti per narrare l’amore proibito descritto da Giuseppe Patroni Griffi nel suo omonimo romanzo del 1987.
Nella Napoli del 1943, sotto i bombardamenti incessanti, nasce l’amore tra il sedicenne Eugenio e il giovane professore Lilandt: una passione negata, poi bramata e infine impetuosa.
La scrittura di Patroni Griffi si muove tra la pura poesia e una spudoratezza fortemente erotica, descrivendo in modo sublime il contrasto tra la distruzione della guerra e l’ostinazione dell’amore.
Nadia Baldi trasforma l’opera in un reading a quattro voci, in cui le attrici si alternano tra narrazione e personaggi, attraversando i vari e controversi stati d’animo dei protagonisti.
La musica segue con maestria l’evoluzione della storia, con interessanti interventi che molto spesso, però, sovrastano la narrazione, specialmente nei momenti più concitati, in cui le quattro voci si mescolano tra grida e suoni frenetici, costruendo un crescendo non sempre giustificato e, purtroppo, negando allo spettatore la comprensione di molte frasi.
Sebbene sia decisamente interessante l’idea di affidare unicamente alle donne le voci, le pulsioni e i tormenti di personaggi maschili, l’opera risulta difficile da assimilare per lo spettatore: l’adattamento, infatti, appare troppo lungo per una messa in scena totalmente statica.
La scelta stessa del reading, ovviamente, impone la quasi immobilità dell’attore davanti al leggio, ma la luce costantemente fioca e il ciclico alternarsi delle fasi di tensione e distensione narrativa rischiano di appesantire la fruizione di un genere di spettacolo che, già per sua natura, richiede particolare impegno da parte del pubblico.