Recensione | Dogman di Matteo Garrone

Presentato all’ultimo festival di Cannes, il nuovo film di Garrone scrive indubbiamente un capitolo importante nell’attuale panorama cinematografico italiano.
Dopo Il racconto dei racconti, che si allontanava – in parte – dal resto della sua cinematografia, con Dogman il regista romano sembra essere tornato alle origini.

Ispirandosi a un reale fatto di cronaca, Garrone aggiunge nuovi tratti al suo universo fatto di personaggi grotteschi e ambiguamente romantici, di ambientazioni degradate e di colori cupi.
Il punto di partenza è l’efferato delitto de Il Canaro, Pietro De Negri, toelettatore per cani che nel 1988 uccise e seviziò il pugile dilettante Giancarlo Ricci, che lo sottoponeva a continue vessazioni.
I riferimenti nel film sono sicuramente evidenti, ma l’estrema poesia dell’opera sta non tanto nel mostrare la violenza del finale – in cui gli atti del protagonista appaiono comunque edulcorati rispetto a quelli riportati nella confessione di De Negri – quanto nell’accuratezza nella costruzione del personaggio, precisamente cucito sull’attore calabrese Marcello Fonte, la cui interpretazione rappresenta una meravigliosa rivelazione.

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In uno squallido e non meglio specificato quartiere di Roma, Marcello, proprietario del salone per cani “Dogman”, vive un asfissiante rapporto di sudditanza con Simone, un delinquente temuto in zona, che lo costringe a fornirgli droga, spesso coinvolgendolo nelle sue azioni criminali, puntando sull’incapacità di reazione di Marcello.
Approfittando dell’ingenuità dell’uomo, Simone lo rende complice della rapina nel negozio accanto al suo.
Ancorato alla speranza di una ricompensa, con cui avrebbe potuto sistemare la sua vita insieme all’adorata figlia, Marcello, messo davanti alla possibilità di denunciare Simone, decide di proteggerlo e di scontare al suo posto un anno di carcere.
Al suo ritorno nel quartiere si trova emarginato dagli amici negozianti e ovviamente ignorato da Simone. In quel momento qualcosa scatta nel piccolo uomo mite, un crescendo di ferocità che sfocerà nell’inumano.

Garrone è affascinato dalle realtà di degrado e corruzione, riesce a plasmarle e a donarle al pubblico in una chiave visionaria e poetica, che dalla violenza brutale lascia trapelare un quadro di intima tenerezza. Da L’imbalsamatore a Primo amore, da Reality a Gomorra, il regista affida le sue storie grigie e angoscianti a personaggi tanto grotteschi quanto fiabeschi – anche in questo film continua la storica collaborazione alla sceneggiatura con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, mentre la notevole fotografia è affidata a Nicolaj Brüel.

Marcello Fonte – premiato a Cannes come miglior attore – ha una fisicità caratteristica, perfettamente calzante con il personaggio cercato da Garrone: la sua goffaggine e il suo amore per i cani ci fanno entrare da subito in empatia con lui. Viviamo tutte le sue fasi di sofferenza, dalla sopraffazione, all’impotenza, dalla crudeltà alla solitudine – non viene mostrata l’esperienza di Marcello in carcere, ma una volta tornato in libertà la sua espressione è prevedibilmente diversa.
112940885-b62e59ae-7a4d-4517-b56d-5aa4dab9ece1Di fianco a Marcello c’è Simone, un bravissimo Edoardo Pesce.
I due uomini sono agli antipodi, fisicamente ed eticamente, ma il loro rapporto è quasi viscerale: Marcello non riesce a staccarsi da lui anche quando potrebbe farlo e, allo stesso tempo, è l’unico di cui Simone si fida.
Questi personaggi rappresentano più genericamente due modelli, due diversi tipi di fragilità che rispondono in modo opposto alle pressioni della società.

Tra ambientazioni e personaggi pasoliniani, non mancano alcuni elementi amaramente ironici, che riguardano, in particolare, il lavoro di Marcello con i cani: la bestia feroce che non vuole farsi lavare diventa un tenero e buffo cucciolo nel momento in cui scopre il caldo piacere del phon. Questa sequenza in particolare segna l’apertura del film e rappresenta una prima, dolorosa metafora di ciò che vivrà Marcello, capace di domare un cane violento, ma non la ferocia dell’uomo, soprattutto la propria.

 

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