Le “Anime nere” dell’Aspromonte: il nuovo film di Francesco Munzi

Regia di Francesco Munzi

Liberamente tratto dal romanzo “Anime nere” di Gioacchino Criaco

Con:

Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Fabrizio Ferracane, Anna Ferruzzo, Giuseppe Fumo, Barbora Bobulova, Aurora Quattrocchi

Sceneggiatura:

Francesco Munzi, Fabrizio Ruggirello, Maurizio Braucci con la collaborazione di Gioacchino Criaco


La campagna dell’Aspromonte, la ‘ndrangheta, le litanie delle donne vestite a lutto. E’ cupa l’opera di Francesco Munzi, regista romano arrivato con successo al suo terzo lungometraggio. Dopo Saimir e Il resto della notte, incentrati sulle condizioni di vita delle comunità nomadi e albanesi in Italia, questa volta Munzi si concentra su un universo tragicamente più vicino ma non meno denso di criminalità, violenza e morte. Come sempre gioca sui contrasti, Munzi, sulle contrapposizioni, dalla calabrese Africo a Milano, dalla campagna alla borghesia. Una famiglia immersa in un girone malavitoso. Tre fratelli che combattono a modo loro. Luigi (Marco Leonardi) è un trafficante di droga, Rocco (Mazzotta) vive a Milano con la sua famiglia, ma nonostante sembri lontano dallo stile di vita del fratello, paga i suoi operai con denaro riciclato. Il terzo fratello, il maggiore, è Luciano (Ferracane), un mite allevatore di capre che cerca in ogni modo di restare fuori dall’ambiente corrotto in cui inevitabilmente gravita la sua famiglia. Suo figlio Leo, al contrario, tenta pericolosamente di avvicinarsi allo zio Luigi: sparando alla vetrina di un negozio protetto da un clan calabrese dà il via a una serie di vendette che segneranno tragicamente la famiglia di Africo.

Addentrandosi in una realtà impenetrabile e ostile, Munzi riesce a dare vita al romanzo omonimo di Gioacchino Criaco, con risultati talmente positivi da valergli ben nove David di Donatello, tra cui miglior film e miglior regista. Risulta interessante la commistione di attori professionisti (struggente l’interpretazione di Ferracane) e non attori, gente del luogo, carica della passionalità della propria terra. La bravura di Munzi sta nel conciliare questi due mondi creando un equilibrio che rende ancor più dirompente il suo linguaggio. E nel rincorrersi delle morti, dei piani di vendetta e delle minacce, resta sempre alto il senso della famiglia, dell’amore fraterno che rimane indelebile nonostante le differenze incolmabili, negli ideali quanto negli stili di vita. Proprio per questo il finale, inaspettato e di forte impatto, destabilizza e sconcerta, ma risulta drammaticamente umano e comprensibile, poiché emerge sempre più asfissiante il senso di impotenza davanti a un destino da cui sembra impossibile fuggire.

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