Al Roma Fringe Festival “L’orda oliva”: quando gli emigranti eravamo noi

Regia: Ludovica Andò

Con: Massimo Lanzi, Massimiliano Mazza, Francesco Montella, Marco Pirisino

Musiche: Andrea Pandolfo

Scenografia: Francesco Giannini

Disegno luci: Michelangelo Vitullo

Responsabile giuridico-pedagogico: Alessia Giuliani

Associazione Compagnia Sangue Giusto

Spettacolo realizzato nell’ambito del progetto CON AMLETO DENTRO-OFFICINE TEATRO SOCIALE

ASSESSORATO ALLA CULTURA – REGIONE LAZIO

Col contributo della FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI CIVITAVECCHIA

Con patrocinio del COMUNE DI CIVITAVECCHIA

Con sostegno del GARANTE DEI DIRITTI DEI DETENUTI DEL LAZIO

Selezionato al Roma Fringe Festival 2015 




Italiani in cerca di fortuna, che con pochi soldi in tasca si ritrovano a viaggiare clandestinamente perché mai potranno ottenere il marchio dell’emigrante, il bramato passaporto rosso. Denigrati dagli americani come fuorilegge, analfabeti dal sangue sporco, masse indistinte di uomini dalla pelle color oliva. Quella stessa angoscia che oggi vediamo arrivare sulle nostre isole, un tempo partiva da qui, dall’Italia, verso la terra della speranza, l’America.
Il libero adattamento del racconto di Sciascia “Il lungo viaggio” riflette il percorso degli interpreti, detenuti della Casa di Reclusione di Civitavecchia: una riscrittura del testo attraverso improvvisazioni, esperienze personali e idee dei partecipanti. Sulla scena non ci sono attori, certamente, non c’è dizione, non c’è padronanza del palcoscenico, ma è intensa l’emozione che riescono a esprimere: hanno gli occhi di chi conosce il peggio della vita, di chi, ognuno a suo modo, comprende la disperazione di cui sta parlando.
E la regista, Ludovica Andò è tenace nel coordinare le loro parole, i loro movimenti così goffi quanto commoventi.
I detenuti si mostrano sul palcoscenico, portando il loro vissuto, la loro chitarra, i loro tatuaggi sulle braccia, annientando, con i loro sguardi impazienti, curiosi e impauriti, qualsiasi tipo di pregiudizio: “Passato e futuro.”, dice Ludovica Andò, “In carcere si parla sempre al passato o al futuro. Mai al presente. Come se il presente fosse sospeso, un’interruzione della propria esistenza, non una fase.”
Perché non serve un abisso per sprofondare. Lasciarsi tutto alle spalle, quindi, e provare ostinatamente a ricominciare da capo. Sulla scena, come nella vita, un bisogno di riscatto, una pagina da riscrivere, una valigia vuota da riempire, di nuovo.

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